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Un futuro promettente nel calcio prima, un’avviata attività commerciale dopo, e una vita all’apparenza invidiabile. Eppure nella sua quotidianità fa presto ingresso quel “nemico” invisibile cucito addosso: un male all’inizio indefinibile e senza nome che sin da giovanissimo diventa un indivisibile compagno di vita. Qualcosa di così invalidante che, per non soccombergli, va sfidato, prima ancora di dargli un nome. E’ così che Gianni Apriletti cambia vita: molla l’attività e punta tutte le energie, anche quelle economiche, in un percorso su se stesso che lo porta a spingersi “oltre il visibile” e da malato cronico – per dirla con le parole del su libro – diventa un motivatore. In pochi conoscono la sua storia che solo di recente rende pubblica ne “Spingiti oltre il visibile”, il libro con i cui introiti oggi Apriletti sta aiutando la popolazione ucraina.

 

«Fino all’età di 14 anni ho avuto una vita normale, studiavo praticavo sport – dice – ma è in quel periodo che sono cominciate le prime avvisaglie sulla mia debole condizione fisica. Ero stato selezionato per effettuare un provino con le giovanili dell’Inter, feci sei selezioni, fino ad arrivare ad indossare la maglia neroazzurra. Ma durante una partita mi feci male e abbondonai la squadra. Continuai a fare sport: arrivai a vestire la maglia della Nazionale dilettanti ma anche qui, un colpo alla schiena e finì l’avventura». E’ nel periodo della leva militare che Gianni Apriletti decide di iniziare la “ricerca della verità”. «Per me stare male era la normalità, pensavo che dipendesse dal mio consumare troppe energie – continua – le visite mediche mostrarono alcuni dei miei limiti ma non il problema a monte. La medicina dell’epoca non era pronta e forse neanche io».

 

E’ solo all’età di trent’anni che al male di Apriletti viene dato un nome: spondilite anchilosante, una malattia autoimmune degenerativa che prende di mira tutte le articolazioni e i muscoli. Una malattia che anziché bloccarlo diventa uno stimolo a superare quei limiti che questa condizione fisica gli impone. Come quando nel 2016 partecipa e conclude la Maratona di New York accompagnando una persona non vedente.

Ma la vera sfida, con se stesso e la malattia, è quella mentale. Conosce Roberto Cerè. «E’ stato il momento della svolta – dice – avevo un’attività di compro e vendo usato, la prima del genere a Terni, era ben avviata. Ho deciso di mollare e investire tutto nel Master internazionale in Coaching ad alte prestazioni tenuto da Cerè. E’ stata dura. Non ho detto a nessuno delle mie condizioni fisiche. Dovevo farcela da solo: attraversare la malattia, sfidare le mie capacità e la mia mente, superare i miei limiti». Così Apriletti che, a causa della malattia non è riuscito a studiare, si è ritrovato a parlare all’università di Bari davanti agli studenti di sociologia, oppure a essere premiato a Montecarlo nel 2016 davanti a oltre 2000 persone come “coach invisibile”.

«Oggi – dice – aiuto le persone a superare le proprie difficoltà e i propri limiti, a migliorare a livello personale e sul lavoro. Tra le più grandi soddisfazioni quella di aver aiutato una donna che era a letto da mesi e non voleva più uscire, a rimettersi in piedi e a guardare la vita con altri occhi».

 

Vedi sul Messaggero https://www.ilmessaggero.it/umbria/imprenditore_ternano_di_successo_sfida_la_malattia_cambia_vita_aiuta_altri_stare_meglio-6584459.html